Il beneficio di Cristo: ieri e oggi
Ogni generazione deve riscoprire il Vangelo e applicarlo al proprio tempo. Speriamo di vedere una seconda riforma nella chiesa cristiana di oggi, e soprattutto in Italia. Quando pensiamo alla Riforma Protestante del XVI secolo, probabilmente l'Italia non è il primo luogo che viene in mente. Tendiamo a pensare a luoghi come la Germania di Lutero, l’Inghilterra di Cramner, o la Ginevra di Calvino. Questi sono luoghi in cui la Riforma ha avuto un'influenza duratura nella Chiesa e in cui il Vangelo è stato diffuso in lungo e in largo. L'Italia, d'altra parte, è la sede del Vaticano, dell'Inquisizione, e del Concilio di Trento. Anche se era la culla del Rinascimento, è diventata un cimitero per la Riforma.
Eppure, prima di essere stata sradicata dal potere di Roma, la Riforma ha goduto una certa crescita nel Bel Paese. Ciò ebbe inizio nel XV secolo, quando molti all'interno della chiesa richiesero la riforma morale del papato e del clero. Per esempio, il movimento conciliare provocò una lunga lotta tra il papa e alcuni vescovi che volevano che il papa si sottomettesse al loro controllo e si assumesse responsabilità per le sue azioni. All’inizio del XVI secolo, la chiesa in Italia era matura per una riforma non solo della morale, ma della dottrina.
Durante i primi decenni del XVI secolo, molti libri Protestanti furono pubblicati e venduti a Venezia, una città che aveva una lunga storia di resistenza al potere di Roma. C'erano libri sulla dottrina della giustificazione per sola fede, libri sull’autorità della Scrittura, e nuove traduzioni della Bibbia nelle lingue comuni del popolo. Questi testi, dapprima diffusi in molte università e monasteri italiani, furono dichiarati illegali dalla Controriforma. Di conseguenza, molti cominciarono a capire il Vangelo per la prima volta.
Uno di questi libri fu scritto da un italiano, un monaco Benedettino di nome Benedetto da Mantova. Il libro, pubblicato in forma anonima nel 1543, non fu scritto in Latino, ma in un Italiano semplice per il credente ordinario, con lo scopo di aiutare il credente debole e dubbioso a trovare conforto e garanzia nella distinzione fondamentale tra la legge e il Vangelo. Il libro circolò rapidamente in Italia e in Europa. Molti lo elogiarono per la sua profondità e calore pastorale. Altri lo denunciarono rapidamente come prodotto di eretici. E’ stato probabilmente il testo più importante della Riforma Protestante in Italia. Il titolo originale era Trattato ultissimo del beneficio di Giesu Christo crocifisso verso i christiani. Oggi lo chiamiamo semplicemente Il Beneficio di Cristo. Eppure, questo libro meraviglioso rimane quasi del tutto sconosciuto ai cristiani, anche in Italia.
Lo scopo di questo articolo è quello di farvi conoscere questo gioiello pregiato tra i tesori della Riforma. In primo luogo, prenderemo in considerazione brevemente la vita e i tempi di Benedetto da Mantova, l'autore del Beneficio di Cristo. Conoscere i retroscena di questo piccolo libro ci fa apprezzare ancora di più il suo messaggio. Poi, pensiamo ai contenuti del libro in modo che possiamo diventare più familiari con il suo messaggio di vitale importanza. Infine, voglio parlare di come questo libro continua ad avere applicazioni per noi. La mia speranza è che i credenti odierni si familiarizzino di più con questo libretto non solo a causa del suo posto nella storia della Chiesa, ma per il valore che ha per ogni pellegrino stanco che ha bisogno di speranza, conforto e sicurezza.
La vita e tempi di Benedetto da Mantova
Chi era il misterioso autore di questo piccolo libro che ha avuto un impatto travolgente sulla Riforma Italiana? Quando apparse sugli scaffali dei librai veneziani, l’identità dell’autore era avvolta nella segretezza. L’editore ha spiegato nella prefazione:
“Essendoci venuta alle mani un’opera delle più pie e dotte, che ai nostri tempi si siano fatte, il titolo della quale è Del beneficio di Giesu Christo Crocifisso verso i Christiani, ci è paruto a consalatione et utilità vostra darla in istampa, et senza il nome dello scrittore acciocché più la cosa vi muova che l’autorità dell’autore”.
Ciò non può essere stato l’unico motivo per mantenere segreta l’identità dell’autore. Nel 1543, scrivere un libro in difesa della dottrina della giustificazione per sola fede poteva essere rischioso, almeno in Italia. La pubblicazione del libro in forma anonima fu probabilmente una decisione saggia.
Dalla metà del XIX secolo, gli studiosi hanno fatto attente indagini sull’identità di Benedetto. Mentre gran parte della sua vita rimane ancora nell’ombra, alcuni fatti sono stati stabiliti. Il suo cognome era Fontanini, ed era probabilmente legato alla potente famiglia Gonzaga. Non possiamo essere sicuri quando e dove sia nato, ma sappiamo che diventò un monaco dell’ordine Benedettino nel 1511. Sappiamo anche che visse il resto della sua vita come monaco in cinque luoghi: Mantova, Venezia, Catania, Ferrara e Padova.
Mantova è il primo luogo in cui troviamo Benedetto. Nel 1511 entrò nell’Abbazia di San Benedetto in Polirone, la terra tra i fiumi Po e Lirone. Era una delle più fiorenti abbazie della Congregazione Cassinese, un gruppo di monasteri Benedettini dedicati al rigoroso studio e l’apprendimento. Benedetto rimase là per più di venti anni, dal 1511 fino al 1534, studiando dapprima sotto il noto studioso umanista Gregorio Cortese (1483-1548).
Era un tempo affascinante per gli studenti della Bibbia e della teologia. Era ancora il tempo della rinascita dell’Umanesimo quando gli studiosi andavano “ad fontes”, cioè, ritornavano alle fonti dei testi Greci e Latini dell’antichità. C’era un rinnovato studio della Bibbia nelle lingue originali. Di conseguenza, la Riforma protestante cominciava a farsi strada. In tutta Europa si discutevano e dibattevano le dottrine bibliche. Nel 1517, Martin Lutero affisse le sue 95 Tesi al portone della chiesa del castello di Wittenberg, in Germania. In seguito, pubblicò diversi libri come La Cattività Babilonese della Chiesa (1520) e La Libertà del Cristiano (1520), che negava l’autorità del Papa e delineava diverse dottrine Protestanti importanti, come la giustificazione per sola fede. Nel 1523, le opere di Lutero erano vendute nel Nord Italia.
Sappiamo che i monaci Benedettini della Congregazione Cassinese studiarono i libri di Lutero e che molti di loro li apprezzavano. Di solito non pensiamo ai monaci cattolici italiani come simpatizzanti della teologia Protestante, ma gli studiosi Benedettini durante l’inizio della Riforma erano diversi. Quelli della Congregazione Cassinese erano noti per il loro studio delle epistole Paoline e le opere dei Padri Latini e Greci, come Agostino e Crisostomo. La loro apertura alla teologia di Lutero divenne così ben nota che essi ricevettero avvertimenti da parte del Papa. Fu in quell’ambiente che la formazione teologica e spirituale di Benedetto prese forma.
Nel 1534, Benedetto fu trasferito da Mantova a Venezia, dove entrò nel monastero sulla piccola isola di San Giorgio Maggiore. Se avete visitato Venezia, probabilmente ne avete visto la bella basilica, che emerge dall’acqua di fronte alla città. Là entrò in contatto con molti intellettuali che erano attivi nella Riforma italiana, incluso il raffinato poeta Marcantonio Flaminio (1497-1550), che diventò poi suo collaboratore nel Beneficio di Cristo.
Nel 1537, Benedetto fu trasferito di nuovo, questa volta in Sicilia, al Monastero di San Nicolò l'Arena a Catania. Per via, si fermò a Napoli per incontrare il Riformatore Spagnolo Juan de Valdes (c.1500-1541), che si era trasferito là pochi anni prima, in fuga dalle persecuzioni in Spagna. Valdes fu un gigante nella Riforma Italiana. Scrisse numerosi libri e commentari sulle Scritture, e fu in gran parte responsabile per l’introduzione della dottrina della giustificazione per sola fede nella lingua Italiana. Era anche ben collegato con i Riformatori più importanti e intellettuali in Italia, molti dei quali si riunivano regolarmente nella sua casa di Napoli. Benedetto aveva studiato le opere di Valdes, e nel 1537 fu in grado di trascorrere del tempo con lui e di entrare in contatto con la sua cerchia di amici.
Durante i seguenti cinque anni, Benedetto fu uno dei capi del monastero di San Nicolò l’Arena. Fu durante questo periodo che scrisse Il Beneficio di Cristo. Fu anche in questo periodo che si verificarono molti eventi che indebolirono la Riforma in Italia. Il 1541 vide la morte di Juan de Valdés e l’insuccesso del Colloquio di Ratisbona, un incontro tra capi Protestanti e Cattolici nel tentativo di ripristinare la loro unità religiosa. Nemmeno il delegato pontificio al colloquio, il Cardinale Gasparo Contarini (1483-1542), che credeva nella dottrina della giustificazione per sola fede e aveva simpatie verso il movimento Protestante, fu in grado di produrre un accordo tra le due parti.
Contarini morì nel 1542. Nello stesso anno, il Papa istituì l'Inquisizione Romana, che fu condotta dallo spietato Cardinale Gian Pietro Carafa, divenuto poi Papa. La sua missione singolare fu quella di purificare la Chiesa Cattolica dalla dottrina Protestante. Di conseguenza, alcune figure chiave italiane fuggirono dal paese, tra cui il grande studioso Pietro Martire Vermigli (1499-1562).
Dal punto di vista Protestante, furono anni bui per la Chiesa in Italia. Con la morte di Valdes e Contarini, l'istituzione della Inquisizione Romana, e la fuga di Vermigli, la luce della Riforma in Italia si affievolì. Ma fu proprio in quel momento buio che Il Beneficio di Cristo apparve sugli scaffali dei librai di Venezia. Il libro godette di un successo fenomenale. Più di 40.000 copie furono vendute solo nella Repubblica di Venezia. Il libro, ristampato più volte e tradotto in francese, inglese, spagnolo e croato, circolò rapidamente in Italia dove fu elogiato da diversi cardinali. Come ha detto uno studioso:
“Ha reso popolare più di qualunque altro libro la dottrina della giustificazione per fede in Italia, ha probabilmente danneggiato Roma più del Sacco”.
Roma reagì. Gli apologeti cattolici riconobbero subito nel libro la teologia di Lutero e Calvino. Nel 1546, solo tre anni dopo la pubblicazione del libro, il Concilio di Trento lo condannò. Nel 1549 fu inserito nell’Indice Librorum Prohibitorum, l'Indice dei libri proibiti. Di conseguenza, le sue copie furono bruciati in molte piazze d’Italia. Possedere una copia divenne un crimine. L’identità di Benedetto, tuttavia, rimase un segreto.
Dopo il periodo in Sicilia, i dettagli della vita di Benedetto diventano più oscuro. Sappiamo che dal 1544 al 1546 ha prestato servizio come rettore presso il monastero di Santa Maria di Pomposa in provincia di Ferrara. Nel 1549, lo troviamo a Padova, presso il Monastero di Santa Giustina. Lì fu indagato per eresia, ma senza conseguenze. Dopo di questo, si perde traccia di Benedetto. Forse visse fino al 1555, ma non possiamo essere sicuri.
È però certo che l'Inquisizione Romana non collegò Benedetto al Beneficio di Cristo fino al 1566, probabilmente molto tempo dopo la sua morte. Per più di trenta anni, gli inquisitori cercarono invano di scoprire l'identità del misterioso autore. Trovarono finalmente quello che stavano cercando durante il processo del riformatore italiano Pietro Carnesecchi, un caro amico di Valdes e Benedetto. Sotto interrogatorio, Carnesecchi confessò che l’autore primario del libro era Benedetto da Mantova, che in seguito diede al poeta Marcantonio Flaminio il compito di modificarlo e perfezionarlo per la pubblicazione. Carnesecchi ammise anche di aver letto un manoscritto precoce del Beneficio, che Benedetto gli aveva fornito prima che fosse pubblicato. Dopo essere stato dichiarato colpevole di 34 accuse di eresia, l'Inquisizione decapitò Carnesecchi e bruciò il suo corpo sul rogo nel 1567.
Tra il 1550 e il 1560, il papato fece distruggere tutte le copie del libro in Italia. Al tempo di martirio di Carnesecchi, nessuna copia italiana del Beneficio potrebbe essere più trovata. Se ne erano perse tutte le tracce. Tuttavia, nel 1843, tre secoli dopo la pubblicazione del libro a Venezia, una copia italiana fu trovata a Cambridge, in Inghilterra, producendo un rinnovato interesse per il lavoro e il suo autore.
Siamo oggi nel 2020, quasi cinque secoli dopo la pubblicazione di Il Benefico di Cristo. A quei tempi, il Signore, utilizzò questo piccolo libro per causare la diffusione del suo Vangelo in tutta Italia. Che uso ne farà oggi? A noi spetta solo di capire il messaggio del Beneficio di Cristo, e diffonderne ancora una volta il messaggio.
Il Messaggio del Beneficio di Cristo
Qual è il messaggio di questo libretto? Perché è stato tanto confortante per alcuni, ma tanto offensivo per altri? Il Beneficio di Cristo affronta la domanda: “In che modo un peccatore è giustificato davanti a Dio?” È la grande domanda di cui tratta la Bibbia: “Come posso io, un peccatore, essere giusto di fronte a un Dio santo che odia il peccato?” La grande domanda della Bibbia non è: “Come posso essere una persona migliore?” “Come posso avere una vita migliore?” “Come posso essere più felice e contento?” e neanche, “Come possiamo cambiare il mondo?” La grande domanda che interessa alla Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse, è questa: “Come può un Dio santo giustificare dei peccatori malvagi?”
Questa domanda era al centro di discussioni e dibattiti durante la Riforma Protestante nel XVI secolo. La maggior parte dei teologi medievali rispondevano a questa domanda dicendo che un peccatore deve diventare giusto prima che Dio lo possa dichiarare tale. Per diventare giusti, secondo i teologi medievali, bisognava fare opere buone e collaborare con la grazia di Dio. Con l’aiuto della grazia di Dio, che è elargita nei sacramenti, le buone opere sono ricompensate con il merito. C’era anche un detto latino popolare tra quei teologi: facientibus quod in se est, Deus non denegat gratiam, cioè, “Dio non nega la grazia a colui che fa ciò che è nelle sue possibilità”. Quindi, le basi della giustificazione di un credente sono la sua fede, obbedienza e cooperazione con la grazia di Dio.
Per i Riformatori, invece, la Bibbia insegna che la base della giustificazione del credente è la giustizia di Cristo, che si riceve attraverso la sola fede. Si rivolsero alla Scrittura, in particolare alle lettere di Paolo ai Romani e ai Galati, per mostrare che Dio aiuta coloro che non possono aiutare se stessi. Cristo non si limita a rendere la legge più facile in modo che possiamo obbedirla; l’ha adempiuta per nostro conto. Riceviamo questo regalo non attraverso la nostra obbedienza e cooperazione con la grazia, ma per sola fede. Dio giustifica l’empio unicamente tramite la sua grazia, mediante la sola fede soltanto in Cristo.
È una buona notizia per i peccatori! E questa buona notizia è il messaggio del piccolo libro di Benedetto, Il Beneficio di Cristo. Il libro ha sei capitoli, che passano dalla colpa alla grazia e finalmente alla gratitudine, come il Catechismo di Heidelberg, che è stato pubblicato 20 anni dopo (1563). Inoltre, aggiunge un capitolo con alcuni rimedi per chi non ha certezza di essere salvo.
Il capitolo 1 tratta della nostra colpa davanti a Dio. Benedetto inizia con la brutta notizia per spiegare la buona:
“È necessario che conosciamo prima la miseria nostra. Percioché, si come niuno mai cerca il medico, se non conosce di esser infermo, ne conosce la eccellenza del medico, ne l’obbligo che gli deve avere, se non conosce che la sua infirmità è pestifera e mortale: cosi niun conosce Cristo, unico medico delle anime nostre, se non conosce l’anima sua esser inferma”. [1]
Benedetto spiega la natura del peccato originale. Spiega come Dio ha creato l’uomo a sua immagine, in giustizia e in santità. Se Adamo avesse obbedito a Dio, avrebbe ottenuto la vita eterna e glorificata per tutta la razza umana, perché era il nostro rappresentante nel Giardino dell’Eden. Noi avremmo ereditato una vita glorificata e la felicità eterna nella comunione con Dio. Ma in seguito alla sua disobbedienza a Dio, Adamo portò su di sé la colpa e la corruzione di tutto il genere umano. Anche se gli esseri umani sono stati creati per essere in comunione con Dio, siamo ora gli oggetti della collera di Dio: “li siamo inimici, come a quello che, per esser giusto giudice, punisce li peccati nostri”. [2]
Questo significa anche che la natura dell'uomo è ora totalmente depravata: “Insomma questa nostra natura per lo peccato di Adamo tutta si corruppe”.[3] Le conseguenze della caduta di Adamo sono state così catastrofiche per la razza umana che nessuno ha la capacità di obbedire perfettamente a Dio: “di modo che è impossibile che con le forze nostre possiamo amar Dio e conformarci con la sua volontà”. [4] Siamo tutti concepiti e nati nel peccato, che corrompe la mente, il cuore, la volontà, le emozioni, e anche il corpo.
È così che il libro inizia, con la brutta notizia che siamo peccatori colpevoli e corrotti. Senza questa brutta notizia, non vediamo il nostro bisogno di un Salvatore: “ne può conoscer la eccellenza di Cristo, ne l’obbligo che gli dee avere, se non discende nella cognizione delli suoi gravissimi peccati e della infirmità pestifera, che abbiamo contratta per la contagion de’ nostri primi parenti”.[5]
Il modo in cui veniamo a conoscere il nostro peccato è attraverso la legge di Dio, che ci fornisce una diagnosi accurata della nostra colpa e corruzione. Questo è il soggetto del Capitolo 2. “L’uomo adunque, riguardando, come in un lucido specchio, in questa Legge, tosto conosce l’infirmità sua e impotenza di ubbidire alli commandamenti di Dio e rendere il dovuto onore e amore al suo creatore. Adunque il primo ufficio, che fa la Legge, è questo: che fa conoscere il peccato, come afferma san Paulo (Rom 3.20); e altrove dice: «Io non ho conosciuto il peccato se non per la Legge»” (Rom 7.7).
Questo, dice Benedetto, è il primo scopo della legge: fare noto il peccato. Poi ne elenca diverse altre funzioni. Dio ha dato la legge al fine di rivelare la sua ira e il suo giudizio contro il peccato e al fine di suscitare paura della morte. Tutti questi scopi della legge guidano a ciò che Benedetto chiama “il proprio suo fine, e più eccellente e necessario, è che dà necessità all’uomo di andar a Cristo”. [6] Quando la legge fa il suo lavoro nei nostri cuori, ci dimostra che siamo senza speranza in noi stessi. Espone la nostra colpa davanti a Dio e ci mostra il nostro disperato bisogno di un Salvatore.
Benedetto poi ci parla dell’unico rimedio per la nostra condizione peccaminosa. Nel Capitolo 3, tratta di ciò che noi chiamiamo “la teologia federale”, cioè, il paragone tra i due Adami come rappresentanti. Interagendo con il testo classico di Paolo sulla teologia federale, Rom 5.12-21, spiega che così come Adamo era il rappresentante di tutto il genere umano, Cristo era il rappresentante dei suoi eletti. Gli eletti sono tutti coloro che ripongono la loro fede in Cristo. Così come la disobbedienza di Adamo ha portato condanna e morte all’intera razza umana, l’obbedienza di Cristo porta giustificazione e la vita eterna agli eletti:
Come Cristo è più potente di Adamo, così la giustizia di Cristo è più gagliarda del peccato di Adamo, e se il peccato di Adamo fu bastante a constituirci peccatori e figliuoli d’ira senza alcuna colpa nostra attuale, molto maggiormente sarà bastante la giustizia di Cristo a farci giusti e figliuoli di grazia senza alcune nostre buone opere, le quali non possono esser buone, se, prima che le facciamo, non siamo noi fatti buoni e giusti per la fede.[7]
Cristo è riuscito dove Adamo ha fallito. Ha meritato per noi la giustizia di cui abbiamo bisogno per essere accettati da Dio. Questa obbedienza attiva di Cristo è imputata al credente ed è ricevuta per sola fede. La fede è l’unico strumento attraverso il quale il credente riceve la giustizia di Cristo ed è giustificato.
Questa, naturalmente, è una buona notizia per il peccatore che vuole essere giusto agli occhi di Dio. La legge non può più accusare o condannare la persona che confida in Cristo, perché Cristo ha soddisfatto le richieste della legge al posto di quella persona. Roma, però, non è d'accordo. Il Concilio di Trento ha condannato la dottrina della giustificazione per sola fede e ha dichiarato che chiunque la insegna è anatema, cioè, maledetto:
Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.[8]
La Chiesa Romana si preoccupava che una tale dottrina si sarebbe tradotta in un lassismo morale. Se la giustificazione è basata solo sulla giustizia di Cristo, che il credente riceve per sola fede, che ruolo avrebbero le buone opere nella vita del credente? Secondo il Concilio di Trento, l’attiva obbedienza di Cristo non è imputata al credente, che è invece giustificato mediante un processo graduale di cambiamento morale. Il credente deve essere obbediente e collaborare con la grazia di Dio, se spera di essere giustificato.
Benedetto, però, capiva il Vangelo in modo diverso. Come Lutero, Valdes, Calvino, e altri Riformatori, capiva che il Vangelo non è una legge che dobbiamo osservare, ma una buona notizia a cui dobbiamo credere. Questo è il beneficio di Cristo: Egli ha fatto per noi ciò che non siamo riusciti a fare per noi stessi! Ha soddisfatto le richieste della legge con la sua obbedienza attiva, affinché noi possiamo essere giustificati da Dio e avere vita eterna.
Benedetto conclude il Capitolo 3 con questa esortazione pastorale:
Abbracciamo, fratelli dilettissimi, la giustizia del nostro Iesù Cristo, facciamola nostra per mezzo della fede, teniamo per fermo di esser giusti, non per le opere nostre, ma per i meriti di Cristo, e viviamo allegri e sicuri che la giustizia di Cristo annichila tutte le nostre ingiustizie e ci fa buoni e giusti e santi nel conspetto di Dio. Il quale, quando ci vede incorporati nel suo Figliuolo per la fede, non ci considera più come figliuoli di Adamo, ma come figliuoli suoi, e ci fa eredi con il suo legittimo Figliuolo di tutte le ricchezze sue.[9]
Che citazione bella e ricca di significato! Ci aspetteremmo delle dichiarazioni come questa da Lutero o Calvino, ma non da un monaco italiano che ha trascorso tutta la vita nei monasteri. Benedetto conosceva le Scritture e ha capito il Vangelo.
Nel capitolo 4, che è più lungo del libro, Benedetto elabora gli effetti della vera fede nella vita del credente. Non solo riceviamo la giustizia di Cristo attraverso la sola fede, ma questa stessa fede ci porta in unione con Cristo. Anche questo fa parte della grande beneficio di Cristo dato a ogni credente.
In primo luogo, Benedetto esamina la descrizione neotestamentaria della Chiesa come sposa di Cristo. Poiché Cristo ci ha portato ad essere la sua sposa, ha preso la nostra “dote” di peccato e vergogna, e in cambio ci ha dato la sua gloriosa eredità:
Onde lo sposo dice che la dote della sposa è sua, e la sposa similmente dice che la casa e tutte le ricchezze dello sposo sono sue...Cristo dice adunque: La dote dell’anima, sposa mia cara, cioè i suoi peccati, le transgressioni della Legge, l’ira di Dio contro di lei, l’audacia del diavolo contro a lei, lo carcere dell’inferno e tutti gli altri suoi mali sono devenuti in poter mio e sono in mia propria facultà, e a me sta a negoziare di essa come più mi piace, e perciò voglio gettarla nel fuoco della mia croce a annichilarla.[10]
La sposa similmente dice con grandissima allegrezza: Gli reami e gli imperi del mio diletto sposo sono miei, io son regina e imperatrice del cielo e della terra, le ricchezze del mio marito, cioè la sua santità, la sua innocenza, la sua giustizia, la sua divinità con tutte le sue virtù e potenze sono mie facultà; e perciò son santa, innocente, giusta e divina; alcuna macula non è in me; son formosa e bella, perciochè il mio dilettissimo sposo non è maculato, ma formoso e bello, e, sendo tutto mio, per conseguente tutte le sue cose sono mie, e, perchè quelle sono sante e pure, io divento santa e pura.[11]
Di conseguenza, Dio vede il credente come santo e giusto, attraverso la santità e la giustizia di Cristo. La nostra unione con Cristo include l'imputazione di obbedienza attiva di Cristo per noi:
Onde, quando si dice, ‘Cristo ha digiunato, Cristo ha orato ed è stato esaudito dal suo Padre, ha suscitato i morti, liberato gli uomini dalli demòni, sanati gli infermi, è morto, resuscitato, asceso in cielo’, medesimamente si dice che ‘l cristiano ha fatto queste medesime opere, perché le opere di Cristo sono opere del cristiano: per lui l’ha fatte tutte. Veramente si può dire che il cristiano è stato fisso in croce, è sepolto, è resuscitato, è asceso in cielo, è fatto figliuolo di Dio, è fatto partecipe della divina natura.[12]
Questo è il nuovo stato del credente. Il suo rapporto con Dio non dipende dalla legge, ma dal Vangelo. Riceve tutti i benefici di Cristo, per sola grazia. Possiamo essere certi di trovarci in questo stato, non guardando a noi stessi per vedere quanto siamo devoti o obbedienti, ma guardando a Cristo e credendo al suo Vangelo. Se un cristiano dubbioso dice: “Io non posso persuadermi di essere tra quelli a cui Dio ha dato una grazia così grande”, Benedetto risponde,
Dilettissimo fratello, ti rispondo che la tua certezza consiste nella vera e viva fede, con la quale, come dice san Pietro, Dio purifica i cuori. Questa fede consiste in dar credito all’Evangelio cioè alla felice nova che è stata publicata da parte di Dio per tutto il mondo, cioè che Dio ha usato il rigore della sua giustizia contro a Cristo, castigando in lui tutti i peccati nostri. Chiunque accetta questa buona nova e la crede veramente, ha la vera fede, e gode la remissione de’ peccati, ed è riconciliato con Dio.[13]
Con questo nuovo stato in Cristo viene anche una nuova natura. Dopo essere stati salvati per grazia di Dio dalla nostra colpa, ora gli rispondiamo con gratitudine. Il credente ora fa buone opere non per paura o senso di colpa, ma perché ama il suo Salvatore:
Là dove colui, che si conosce giustificato per li meriti e per la giustizia di Cristo, la quale fa sua per la fede, opera solamente per amore e gloria di Dio e di Cristo, e non per amore proprio, né per giustificazione di se stesso. Di qui avviene che ‘l vero cristiano, cioè colui che si tiene giusto per la giustizia di Cristo, non domanda se le buone opere sono di precetto o no, ma, commosso e incitato da una violenza di amor divino, s’offerisce prontissimo alle opere sante e cristiane.[14]
La vera fede, dice Benedetto, produrrà sempre buone opere, allo stesso modo in cui una fiamma produrrà luce nel buio. “Le buone opere sono frutti e testimonio della fede viva, e procedono da lei come la luce dalla fiamma del fuoco”. [15] Non è però la legge a produrre questa fiamma, ma il Vangelo. La legge è impotente nel cambiare il cuore del peccatore. Solo il Vangelo può rallegrare i nostri cuori in modo tale che vogliamo vivere per la gloria di Dio con gioia e gratitudine. Il vangelo fa sì che i credenti diano “l'anima per gli fratelli, facendo bene alli nemici, gloriandosi nelle ignominie e nella croce del nostro signore Iesù Cristo”. [16]
Benedetto elabora l’argomento del rapporto tra la fede e le opere nel Capitolo 5. Coloro che hanno familiarità con il lavoro di Lutero ne riconosceranno l'influenza su Benedetto, anche se il monaco non lo cita. Avendo ricevuto la grazia dal Signore Gesù Cristo, sentiamo ora l’obbligo di dimostrare la grazia al prossimo:
Poiché Cristo, non avendo bisogno di me, m'ha ricuperato col suo proprio sangue, et è divenuto povero per arricchir me, medesimamente io voglio dare la roba e la vita propria per amore e salute del prossimo; e, si come io mi sono vestito di Cristo per lo amore che mi ha portato, cosi voglio io che ‘l mio prossimo in Cristo.[17]
Questo, dice Benedetto, è particolarmente vero per i nostri fratelli e sorelle in Cristo. “Non bisogna che alcune dica: Io amo Cristo, se non ama i membri e gli fratelli di Cristo”. [18] Anche se ci sono sempre conflitti e difficoltà tra i membri di una comunità, dobbiamo rivestirci di Cristo nei nostri rapporti reciproci: “Come Cristo è nostro veste per fede, cosi noi dobbiamo esser veste per dilezione a’ nostri fratelli, e quella medesima cura, ch’abbiamo del corpo nostro”. [19]
Questa, naturalmente, può essere una grande sfida. La nostra tendenza è quella di fare il contrario. Tendiamo a prenderci più cura di noi stessi che degli altri. Tendiamo a trascurare i nostri peccati più quanto trascuriamo i peccati dei nostri fratelli e sorelle. Tendiamo a giudicare i nostri fratelli e sorelle e vogliamo che siano conformi ai nostri standard e alle nostre opinioni. Tendiamo a perdonare noi stessi con prontezza e gli altri con lentezza. Dobbiamo ricordare che “sono membri veri del corpo nostro, del qual Iesù Cristo è il capo. Questo è quello divino amore e carità, che nasce dalla fede non finta che inspira Dio allo suoi elleti”. [20]
Nell’ultimo capitolo, Benedetto delinea alcuni rimedi per i nostri dubbi e la nostra mancanza di sicurezza riguardo alla salvezza. “Fra queste armi giudico che siano potentissime le orazioni, e l’uso frequente della santissima communione, e la memoria del battesimo e della predestinazione”. [21] Non abbiamo il tempo di esaminarli tutti e quattro. Dovreste leggere il libro un giorno! Ma siamo in grado di spendere qualche minuto a pensare a quello che dice Benedetto per quanto riguarda la Cena del Signore, perché è molto utile.
E’ mediante questo sacramento, dice Benedetto, che in Cristo “le nostre afflitte coscienze” possono essere assicurate “della nostra reconciliazione con Dio”. [22] Con la stessa certezza con cui mangiamo il pane e il vino, Cristo ha dato il suo corpo e sangue per noi:
Quando [il cristiano] sente questi affani (il dubbio, la tentazione, la paura), vada con buon animo e con fiducia a questo santissimo sacramento, e ricevalo divotamente, dicendo nel suo cuore e rispondendo alli nemici suoi: ‘Io confesso che io merito mille inferni e la morte eterna per li peccati miei, ma questo divinissimo sacramento, il quale ora ricevo, mi fa sicuro e certo della remissione di tutte le mie iniquità e della riconciliazione con Dio. Se io risguardo alle mie operazioni, non è dubbio che io non mi conosca peccatore e condennato, nè mai la mia conscienza sarà quieta, credendo che per le opere, che io fo, gli miei peccati mi siano perdonati. Ma, se io risguardo nelle promesse e nel patto di Dio, il qual mi promette per il sangue di Cristo la remissione de’ peccati, tanto sono certissimo di averla impetrata e di avere la grazia sua, quanto son sicurissimo e certo che Colui, che ha promesso e fatto il patto, non può mentire né ingannare.[23]
Il povero peccatore non deve permettere che la debolezza della sua fede o dei suoi fallimenti nella vita cristiana lo trattengano dalla Cena del Signore. Non ci rendiamo degni di ricevere la Cena obbedendo alla legge. Sarebbe impossibile. Piuttosto, siamo invitati a questa tavola perché Dio ci ha rivestiti della giustizia di suo Figlio. Così, il povero peccatore può venire alla tavola con fiducia. “In questo modo si scaccia fuori de l'anima il timore, si aumenta la carità, si conferma la fede, si rasserena la conscienza, e la lingua non si vede mai stanca di lodar e di rendergli infinite grazie di tanto beneficio”. [24]
Questo beneficio, il beneficio di Cristo, è ciò che Benedetto si sforza di spiegare nel suo libro. Il beneficio di Cristo è che Dio ci concede e imputa la giustizia di suo Figlio, che riceviamo per sola fede. In tutto il libro, Benedetto basa tutte le sue argomentazioni sulla Scrittura, riempiendo le pagine di citazioni bibliche. Si ispira inoltre agli scritti dei Padri antichi e medievali. Fornisce citazioni di Agostino, Origene, Basilio, Ilario, Ambrogio e Bernardo di Chiaravalle, al fine di dimostrare che la dottrina della giustificazione per sola fede non è stata inventata da riformatori protestanti, ma è insegnata dalla Scrittura stessa.
Benedetto conclude il suo libro con queste parole:
Ma beato colui, il quale, imitando san Paulo, si spoglia di tutte le sue proprie giustificazioni, nè vuole altra giustizia che quella di Cristo, della qual vestito, potrà comparire sicurissimamente nel conspetto di Dio, e riceverà da lui la benedizione e l’eredità del cielo e della terra, insieme col suo unigenito Figliolo Iesù Cristo nostro signore, al quale sia gloria in sempiterno. Amen.[25]
Il Beneficio del Beneficio di Cristo per Oggi
Come può il moderno credente trarre beneficio da un piccolo libro scritto quasi 500 anni fa? In che modo è rilevante per noi oggi? In primo luogo, Il Beneficio di Cristo è pieno di conforto e di sicurezza per il credente perché ci aiuta a capire la distinzione fondamentale tra la legge e il Vangelo. Non possiamo sottolineare abbastanza l’importanza di questa distinzione. Così come c’era molta confusione su questa distinzione nella chiesa medievale, c’è anche molta confusione ancor oggi. Oggi, molta predicazione non riesce a fare questa distinzione fondamentale, e dà ai cristiani una dieta costante della legge senza il Vangelo. Ma, se non ascoltiamo il Vangelo regolarmente nella chiesa, troveremo molto difficile avere sicurezza della nostra salvezza. Finiremo inevitabilmente per cadere nella disperazione a causa del nostro peccato, o diventeremo più ipocriti e pronti a giudicare gli altri.
Certo, abbiamo bisogno di ascoltare la legge. La legge è buona, giusta, e vera. Ma, la legge non ci può dare la vita. La legge dice, “Ubbidisci e vivrai”. Ci dice come vivere e ciò che Dio si aspetta da noi. Ma, non ci può dare la forza per farlo, perché siamo peccatori. Di conseguenza, la legge non può darci la sicurezza. E’ invece il modo in cui veniamo a conoscere il nostro peccato. Ci fornisce una diagnosi accurata della nostra colpa e corruzione. Ma non ci può dare la giustizia di cui abbiamo bisogno. Quindi, se la legge è la base della nostra relazione con Dio, è solo una brutta notizia.
Il Vangelo, d’altro lato, dice, “Cristo ha ubbidito per te.” Come Benedetto spiega tanto chiaramente, il Vangelo è la buona notizia che Cristo ha soddisfatto appieno le richieste della legge per noi. Che grande fondamento abbiamo! Dio ci accoglie a motivo di Cristo! Nulla può confortare di più il nostro cuore o accrescere la nostra gioia cristiana della realtà che Dio è per noi, nonostante dobbiamo ancora lottare contro il peccato e la disubbidienza! Come Lutero disse, in questa vita il credente è simil iustus et peccator, cioè, allo stesso tempo giustificato e peccaminoso. Sapendo che Dio ci ama in Cristo saremo cosi salvaguardati dagli alti e bassi causati dalla nostra coscienza e dalle nostre emozioni.
Questo messaggio è vitale per la sicurezza del cristiano. Pensate ad un credente che si trova vicino alla morte. Che cosa ha bisogno di sentire in quel momento: la legge o il Vangelo? Ha bisogno di un’altra esortazione a essere più obbediente? O ha bisogno di sentire che Dio lo accetta a causa dell’obbedienza di Cristo? In quel momento, certo, il credente ha bisogno di guardare a Cristo, non a sé stesso. Considerate J. Gresham Machen, il fondatore del Seminario di Westminster e uno dei leader della Chiesa Presbiteriana Ortodossa. Nel 1937, quando stava morendo, ha inviato un telegramma al suo amico John Murray. Diceva semplicemente: “Sono così grato per l'obbedienza attiva di Cristo. Nessuna speranza senza di essa.”
Ma, questa speranza, conforto, e sicurezza del Vangelo non è solo per i cristiani che stanno morendo, ma anche per quelli che stanno vivendo! Il credente che viene in chiesa ogni domenica ha bisogno di sentire il Vangelo, perché senza il Vangelo, non c’è speranza, conforto, o sicurezza. Certo, abbiamo bisogno di sentire la legge. La legge espone il nostro peccato e ci dimostra che siamo di gran lunga peggiori di quanto pensassimo! Mi mostra il mio bisogno d’un Salvatore. Ma troppa predicazione oggi è quasi tutta legge e non Vangelo. I sermoni sono pieni di principi morali di comportamento, ma spesso senza la Persona e l’Opera di Cristo! Questo è spesso perché il predicatore non capisce la differenza tra la legge e il Vangelo.
Di conseguenza, i credenti risponderanno in uno di due modi: saranno disperati perché sanno di non essere buoni cristiani e non sempre obbedienti, o diventeranno più ipocriti e pronti a giudicare gli altri. Cercheranno di trovare speranza in loro stessi e nella loro obbedienza, piuttosto che in Cristo e nella Sua obbedienza. Invece, attraverso il Vangelo, basiamo la nostra identità non su quello che abbiamo ottenuto, ma su ciò che Cristo ha ottenuto per noi.
Questo era il messaggio della Riforma Protestante nel XVI secolo, ed è il messaggio del Beneficio di Cristo. Questo libretto antico ci insegna chiaramente la dottrina della giustificazione per sola fede, l’attiva obbedienza di Cristo, e la distinzione fondamentale tra la legge e il Vangelo. La legge mi dice che io sono molto peggiore di quanto immaginassi, e il Vangelo mi dice che io sono molto più accettato e amato in Cristo di quanto avessi mai sognato!
Rev. Michael Brown
[1] Benedetto da Mantova, Trattato ultissimo del beneficio di Giesu Cristo crociffiso versi i cristiani, 1543, come si trova nel Beneficio di Cristo con le versioni del secolo XVI documenti e testimonianze (DeKalb, IL: Northern University Press, 1972), 15.
[2] Ibid., 14.
[3] Ibid., 14.
[4] Ibid., 13-14.
[5] Ibid., 15.
[6] Ibid., 17-18.
[7] Ibid., 21.
[8] http://www.monasterovirtuale.it/trento-1545-1563.html, Sessione 6, Canone 11.
[9] Ibid., 26.
[10] Ibid., 27.
[11] Ibid., 27-28
[12] Ibid., 28.
[13] Ibid., 30.
[14] Ibid., 43-44.
[15] Ibid., 46.
[16] Ibid., 49.
[17] Ibid., 54.
[18] Ibid., 54.
[19] Ibid., 56.
[20] Ibid., 56.
[21] Ibid., 59.
[22] Ibid., 60.
[23] Ibid., 63.
[24] Ibid., 64.
[25] Ibid., 83.