Perché Dio ama l'inamabile?

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Di solito non ci sentiamo molto amabili agli occhi di Dio. Quando ci troviamo di fronte al nostro peccato, ci sentiamo brutti. Quando ci vediamo nei nostri momenti peggiori, ci vergogniamo. Ci vergogniamo di cose che abbiamo detto. Ci vergogniamo dei modi in cui abbiamo ferito le persone e delle cose che abbiamo fatto. Se siamo onesti con noi stessi, nessuno di noi è l’uomo o la donna che speravamo di essere. Conosciamo le nostre mancanze, e sono dolorose.

Come possiamo far fronte a quel dolore? Come possiamo far fronte alla nostra colpa e vergogna? La cosa peggiore che possiamo fare è deviare il nostro senso di colpa e di vergogna, paragonandoci agli altri. A volte lo facciamo. Forse vediamo qualcuno che lotta contro un particolare peccato che noi non commettiamo, e pensiamo tra di noi: “Beh, almeno io non sono come quella persona!” 

Oppure forse vediamo alcune persone nella società che causano problemi o fanno del male che non faremmo mai, e riteniamo di essere più graditi a Dio di loro. Ci sentiamo meglio quando ci paragoniamo con gli altri, osservando con particolare attenzione la pagliuzza nell'occhio altrui e ignorando la trave nel nostro.

A volte facciamo queste cose perché ci portiamo dietro un po’ di senso di colpa e vergogna. Ecco perché il Vangelo è così dolce alle nostre orecchie. Il Vangelo non è una forma di terapia che dice: “Prova a formulare pensieri più positivi su di te. Prova a sentirti meglio con te stesso. Se ti ripeti che sei amabile, inizierai a sentirti amabile.” Invece, il Vangelo ci parla dell’amore di Dio per i meno amabili! La legge ci dice che siamo di gran lunga peggiore di quanto fingiamo di essere. E il Vangelo ci dice che siamo di gran lunga più amati di quanto abbiamo mai immaginato.

Questo è in definitiva il messaggio del meraviglioso libro di Osea. Dio ama i peccatori. Ama i non amabili. Non ama il loro peccato, perché è santo. E nella sua santità, deve punire e giudicare il loro peccato. Ma ama i peccatori e li valuta tanto da essere stato disposto a pagare un riscatto inimmaginabile per adottarci come suoi figli.

Una parabola dolorosa 

Osea era un profeta. Un profeta nell’Antico Testamento non era semplicemente una persona che prediceva il futuro. Un profeta era qualcuno che Dio incaricò di parlare a nome proprio al proprio popolo. Era un predicatore che annunciava la parola di Dio, cioè, la rivelazione speciale di Dio al popolo con cui Dio ha stretto un patto. Non aveva l’autorità di dire quello che voleva, né di inventarsi le cose. Se lo faceva, era un falso profeta. Poteva solo annunciare la Parola che gli veniva. Ecco perché il primo versetto di capitolo 1 del libro dice, “Parola del SIGNORE rivolta a Osea”.

Questo versetto ci dice anche un po’ sull’identità di Osea. Il nome di suo padre era Beeri, che lo avrebbe distinto dagli altri Osea dei suoi tempi. Fu un profeta per un lungo periodo di tempo, durante i regni “di Uzzia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele”. Osea era un cittadino del regno settentrionale e predicò nel nord allo stesso tempo dei profeti Giona e Amos. Era il periodo in cui i profeti Isaia e Michea servivano nel regno del sud.

Versetto 2 ci dice, “Il SIGNORE cominciò a parlare a Osea e gli disse: <<Va’, prenditi in moglie una prostituta e genera figli di prostituzione, perché il paese si prostituisce, abbandonando il SIGNORE>>”. Il Signore diede alcune istruzioni molto strane. Che significa questa storia?

Dio non disse a Osea a commettere un peccato. Gli disse di sposare una donna, e Osea lo fece. Sposò una normale donna israelita che sarebbe poi diventata adultera e una prostituta. Il matrimonio di Osea ad una donna immorale servì come illustrazione e analogia dell’unione di Dio con Israele secondo il suo patto. Il suo matrimonio era una parabola vivente dell’infedeltà di Israele verso il Signore. 

Questo è ciò che intendo con parabola dolorosa. Il Signore avrebbe parlato attraverso Osea non solo con le parole, ma anche con il suo matrimonio. Il Signore può usare qualcosa di rotto e doloroso per i propri scopi. E in questo caso, ha usato il matrimonio fallito e doloroso di Osea con Gomer. Versetto 3 afferma: “Egli andò e prese Gomer, figlia di Diblaim; lei concepì e gli partorì un figlio”.

Sembra che il suo matrimonio sia iniziato abbastanza bene. Ma le cose peggiorarono rapidamente. Dopo aver dato a Osea un figlio, Gomer ebbe altri due figli che non erano di Osea. Poi lo lasciò. Come disse giustamente lo studioso Derek Kidner: “Si prese gioco di lui, ma si dimostrò sciocca, perché il suo nuovo amante si rivelò inutile e senza cuore come lei, e lei diventò ben presto sua schiava e prigioniera”.

Perché Dio avrebbe voluto che Osea provasse un tale dolore? Aveva i suoi scopi. Di solito, non possiamo conoscere gli scopi di Dio in circostanze dolorose della nostra vita, perché ci sono nascosti. Prendiamo conforto nel fatto che Dio opera tutte le cose secondo il consiglio della sua volontà, come ci dice la Bibbia. Ma in questo caso, Dio ci dice quali erano i suoi scopi. Era “perché il paese si prostituisce, abbandonando il SIGNORE”.

Gomer era come la nazione di Israele perché era un’adultera e meretrice. Israele era colpevole di prostituzione spirituale. Così come Gomer era infedele al marito, Israele era infedele a Dio, al quale si era congiunto secondo il patto. Era infedele nel suo culto, perché flirtava con altri dei e riempiva il paese di idoli. Era infedele nei suoi costumi. Pensava di poter ridefinire la legge di Dio e vivere a suo piacimento. Il paese si riempì di immoralità sessuale e di violenza.

Il matrimonio di Osea e Gomer era simbolico per tutto Israele. Quello che Gomer fece a Osea, Israele lo aveva fatto a Dio. E, come vedremo più avanti nella storia, quello che Osea fece per Gomer, Dio fece per il suo popolo. Come un commentatore ha messo,“Era una relazione iniziata dall’amore divino, respinta dal peccato insidioso, e mantenuta dalla fedeltà incrollabile”.

Un patto infranto 

Gomer ebbe tre figli. Dio disse a Osea di dare ad ogni bambino un nome particolare che poteva essere simbolico della rottura del patto di Israele con il Signore. Questi nomi erano segni di Dio, la rivelazione speciale del giudizio che stava arrivando. Erano oracoli tetri di sventura. E il buio divento più profondo con ogni nome successivo.

Il primo era Izreel (versetto 4). Probabilmente non riconosciamo questo nome, ma ogni Ebreo ai tempi di Osea lo avrebbe immediatamente riconosciuto. Era l’ultimo nome che si sarebbe voluto assegnare a un figlio. Era il nome di un luogo di massacro. Era come se un leader Ebreo odierno chiamasse suo figlio “Olocausto,” oppure se un politico americano chiamasse suo figlio “11 Settembre.” Era una dichiarazione molto audace.

Izreel era una città ben nota e la valle del regno settentrionale. Era il luogo dove Ieu uccise Ioram, re d’Israele, Achazia, re di Giuda, e la regina malvagia Iezebel. Ieu distrusse poi tutta la casa di Achab - tutti i suoi discendenti. Il Signore gli aveva comandato di farlo. Ieu era uno strumento di giudizio divino contro quei capi malvagi. Il problema è che andò troppo in là nella sua violenza, ma non abbastanza in là nella sua riforma del culto di Baal. La sua sete di sangue superò i confini morali, e la sua ambizione eclissò il suo incarico divino. Alla fine, non abbandonò i peccati di Geroboamo. Non fu un re giusto. Non riportò Israele al corretto culto di Dio.

E Dio non lo aveva dimenticato. Non aveva dimenticato la sete di vendetta e di violenza di Ieu, e giudicò Israele per questo, e per la durezza del loro cuore. Gli Israeliti avevano un atteggiamento compiaciuto verso la violenza, e non si curavano della vera adorazione.

E così, nel 733, una decina di anni prima della caduta del regno settentrionale, l’esercito assiro si fece strada in questa valle e cominciò a portare gli Israeliti in cattività. Dio ruppe l’arco d’Israele nella valle di Izreel, perché Israele aveva indurito il suo cuore alla Parola di Dio e non si era pentito.

Il testo dice che Gomer diede a Osea il primo figlio, ma il testo non specifica di chi fossero gli altri due. Ci lascia supporre che, a causa dell’infedeltà Gomer e della sua costante infedeltà, gli ultimi due figli non fossero di Osea. 

La seconda fu chiamata “Lo-Ruama,” cioè, “Senza Misericordia” (v.6). Dio non avrebbe più dimostrato misericordia verso Israele. Aveva dimostrato misericordia per secoli, ma non lo avrebbe fatto più.

Il terzo bambino fu chiamato “Lo-Ammi,” cioè, “Non Mio Popolo” (v.9). Questo fu il nome più devastante di tutti. Dio aveva preso Israele come suo popolo. Erano una nazione in alleanza con Dio, chiamati a essere una luce per le nazioni pagane. Invece erano diventati empi come gli altri. Il tempio era ancora a Gerusalemme, e la gente andava a offrire a Dio doni sontuosi. Ma, a parte un piccolo residuo di credenti, la religione di Israele era puramente esteriore. Non c’era fede e pentimento. Continuavano sfacciatamente nella loro idolatria e immoralità.

E così, Dio mandò i suoi profeti come avvocati dell’accusa, impegnati a perseguire il suo caso contro il suo popolo. È questo che Osea stava facendo. Era giunto il momento del giudizio di Dio contro Israele per la sua idolatria e immoralità. Eppure, purtroppo, la maggior parte delle persone in Israele ignorò la parola del Signore portata da Osea.

Una promessa immutabile 

Versetti 10-11 ci dicono, “Tuttavia, il numero dei figli d’Israele sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare ne’ contrare. Avverrà che invece di dir loro, come si diceva: <<Voi non siete mio popolo>>, sarà loro detto: <<Siete figli del Dio vivente>>. I figli di Giuda e i figli d’Israele si raduneranno, si daranno un unico capo e marceranno fuori dal paese; perché sarà grande il giorno di Izreel”.

In altre parole, Dio avrebbe effettivamente giudicato Israele, ma la promessa antica fatta da Dio ad Abramo nella sua alleanza non sarebbe venuta meno. Abramo avrebbe avuto discendenti innumerevoli come la sabbia del mare e le stelle del cielo.

Come successe? Per mezzo di Gesù Cristo, il vero figlio di Abramo. Nel Nuovo Testamento, l’apostolo Paolo dice:

Le promesse furono fatte ad Abraamo e alla sua progenie. Non dice: «E alle progenie», come se si trattasse di molte; ma, come parlando di una sola, dice: «E alla tua progenie», che è Cristo. Ecco quello che voglio dire: un testamento che Dio ha stabilito anteriormente, non può essere annullato, in modo da rendere vana la promessa, dalla legge sopraggiunta quattrocentotrent’anni più tardi. 18Perché se l’eredità viene dalla legge, essa non viene più dalla promessa; Dio, invece, concesse questa grazia ad Abraamo, mediante la promessa…Se siete di Cristo, siete dunque discendenza di Abraamo, eredi secondo la promessa…Così tu non sei più servo, ma figlio; e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio. (Galati 3:16-18, 29; 4:7)

Per mezzo di Cristo, noi siamo discendenti di Abramo e figli del Dio vivente. In Cristo, non siamo più figli d’ira. I nostri vecchi legami sono stati troncati. Ora siamo legalmente e ufficialmente figli del Dio vivente. Il nostro status vecchio giace nella tomba di Gesù. È stato sepolto con Lui nella Sua morte. Il nostro nuovo stato è assicurato nella Sua risurrezione! 

La nostra condizione come figli del Dio vivente non è una questione di dignità NOSTRA, ma della dignità di CRISTO! I suoi privilegi di famiglia diventano i nostri. Ora siamo i destinatari della tenera cura del Padre. Siamo gli oggetti della sua compassione. Egli ci ha rivestiti nella giustizia del suo Figlio, così che siamo diventati amorevoli ai suoi occhi.

Se fissiamo lo sguardo su noi stessi – sul nostro peccato, sulla nostra colpa, sui nostri fallimenti – ci sembra impossibile che il Padre ci possa mai amare. Per noi è difficile credere che il suo amore per noi sia reale. Ma quando fissiamo lo sguardo su Cristo e il prezzo che ha pagato per noi, siamo in grado di vivere nella gioia! 

Quindi, rallegrateti, Cristiano! Tu sei bellissimo agli occhi del Padre, che ti ha fatto amorevole per mezzo di Gesù Cristo. Sei bellissimo agli occhi del Figlio, che ti ama e ha dato se stesso per te!

~ Rev. Michael Brown

Michael Brown

Rev. Michael Brown è il pastore della Chiesa Riformata Filadelfia e Ministro della Parola e dei Sacramenti dalle United Reformed Churches of North America (URCNA). È l’autore di molti articoli e diversi libri, tra cui Il vincolo sacro: Introduzione alla teologia del patto (2012), Christ and the Condition: The Covenant Theology of Samuel Petto (2012) e 2 Timothy: commentario espositivo sul Nuovo Testamento (2022).

© ligonier.org, © Chiesa Riformata Filadelfia

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