Sei arrabbiato con Dio?
Giona è arrabbiato con Dio. Non può capire perché Dio ha avuto compassione di una città e di un popolo così malvagio. Il pensiero lo rende imbronciato. Potrebbe non sembrare una storia ben scritta. Probabilmente ci chiediamo se manca una parte di questo libro.
Ma è importante capire che la storia si conclude in questo modo deliberatamente. Il fatto è che questa progressione di capitoli riflette spesso la nostra vita. Nel corso della nostra santificazione, ci troviamo a volte in fuga da Dio. Poi Dio ci salva. Poi ci manda di nuovo. Ci dà un'altra opportunità di servirlo in qualche modo. Ma poi, se siamo sinceri, ci arrabbiamo quando le cose non vanno a modo nostro. Come Giona, ci arrabbiamo con Dio per le nostre circostanze.
Eppure, Dio continua a fare un’opera di grazia nei nostri cuori. Resta impegnato verso di noi nel suo patto di grazia. Ha promesso di conformarci all’immagine di suo Figlio e non potrà mai mollarci. Continuerà a santificarci e a darci quello che ci serve.
È ciò che Dio stava facendo per Giona. Giona aveva bisogno di un cuore compassionevole e Dio lo mandò a Ninive per dargli quello che gli serviva. In effetti, il libro di Giona potrebbe essere riassunto in una sola parola: compassione. Questo libro ci mostra la grandezza della compassione di Dio, e l’assenza della compassione di Giona. Giona aveva perso di vista la compassione e la misericordia di Dio verso Israele e verso se stesso, così ha naturalmente trovato impossibile avere compassione verso gente come i Niniviti.
La Collera di Giona
4:1: “Giona ne provò gran dispiacere e ne fu irritato”.
Due cose sconvolsero Giona: in primo luogo, che i Niniviti si erano pentiti e, in secondo luogo, che Dio mostrò loro misericordia. Ciò non lo rese solo un po’ arrabbiato. Lo rese estremamente arrabbiato. In ebraico, c’è una forte enfasi sulla rabbia di Giona, che era un suo problema. Quando gli scrittori ebrei volevano rafforzare un verbo, a volte usavano un nome con le stesse consonanti del suo oggetto. Letteralmente, il versetto 1 si legge: “Un gran male fu male per Giona e lo bruciò”.
Giona considerava un male l’atto di compassione di Dio per i Niniviti! Lo sconvolgeva il fatto che il Signore aveva mostrato misericordia a un popolo brutale e depravato come gli Assiri. Non riusciva a trovare nel cuore la forza di perdonarli come aveva fatto il Signore.
Giona, ovviamente, aveva ancora bisogno di un’opera di grazia nel suo cuore. Non si era ancora riconciliato con il desiderio e la volontà di Dio. Era frustrato dal fatto che Dio non aveva distrutto Ninive e dal fatto che i Niniviti si erano rivolti al Signore in pentimento. Era frustrato dal fatto che avevano trovato grazia agli occhi del Signore. Giona voleva giustizia per queste persone, ma Dio aveva avuto compassione.
Versetti 2-3: “Allora pregò e disse: «O Signore, non era forse questo che io dicevo, mentre ero ancora nel mio paese? Perciò mi affrettai a fuggire a Tarsis. Sapevo infatti che tu sei un Dio misericordioso, pietoso, lento all’ira e di gran bontà e che ti penti del male minacciato. Perciò, Signore, ti prego, riprenditi la mia vita; poiché per me è meglio morire piuttosto che vivere»”.
Il problema di Giona era che aveva dimenticato la misericordia del Signore. Aveva dimenticato che lui stesso non era più meritevole della misericordia di Dio di quanto lo fossero gli abitanti di Ninive. Non poteva apprezzare la misericordia di Dio quando la vide conferita a qualcuno che lui odiava. Credeva che le persone buone meritassero le benedizioni e le persone malvagie meritassero il giudizio. Aveva perso completamente di vista la compassione e il perdono di Dio.
Possiamo riconoscerci in Giona, non è vero? Mentre riflettiamo sulla rabbia e sul cuore testardo di Giona, dobbiamo esaminare noi stessi. Ho perdonato la persona che mi piacerebbe vedere condannata? Ho perdonato la persona che mi ha ferito? Ho perdonato il collega che mi ha colpito alle spalle? Ho perdonato il parente che ha preso in prestito i soldi senza mai ripagarmi? Ho perdonato il medico che ha letto male le cartelle cliniche?
La nostra mancanza di perdono espone la rabbia e l'idolatria nei nostri cuori. La mia amarezza e risentimento è in realtà solo un sintomo della mia auto-giustizia.
Il Consiglio di Dio
Allora, che cosa fa Dio? Comincia a dare consiglio a Giona. Inizia ad ammaestrarlo, facendogli domande. Questo è un metodo catechistico che il Signore usa spesso. Pensate al giardino dell’Eden e alle domande che Dio fece ai nostri progenitori: “Dove sei? …Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato del frutto dell’albero che ti avevo comandato di non mangiare? Perchè hai fatto questo?” Dio conosceva già le risposte a queste domande. Ma facendole, permise ad Adamo ed Eva di apprendere la verità mentre rispondevano.
Qui Dio fàla stessa cosa con Giona. Gli fàtre domande. La prima è al versetto 4: “Il SIGNORE gli disse: «Fai bene a irritarti cosi?»” Giona non risponde. Così, Dio aspetta. Non ha fretta. Insegnerà a Giona un modo o nell'altro.
“Poi Giona uscì dalla città e si mise seduto a oriente della città; là si fece una capanna e si riparò alla sua ombra, per poter vedere quello che sarebbe successo alla città. Dio, il Signore, per calmarlo della sua irritazione, fece crescere un ricino che salì al di sopra di Giona per fare ombra sul suo capo”. (4:5-6)
Proprio come Dio aveva incaricato un pesce di salvare Giona dall’annegamento, ora incarica una pianta di salvare Giona dal disagio e dalla disidratazione.
Come molte città del Vicino Oriente antico, il paesaggio di Ninive era caldo e secco. In quella parte del mondo, il riparo e l’ombra sono importanti come il cibo e l’acqua. “Giona provò una grandissima gioia a causa di quel ricino”.
C’è dell’ironia in questo versetto, soprattutto se lo confrontiamo con il versetto 1. Giona era estremamente contento di avere quella pianta, ma estremamente arrabbiato per la misericordia di Dio verso Ninive. Era felice della propria salvezza, ma infelice della liberazione degli altri. Anche se si pentì quando era nella pancia del pesce, si arrendeva ancora alla sua rabbia, alla sua disperazione, e alla sua auto-giustificazione.
“L’indomani, allo spuntar dell’alba, Dio mandò un verme a rosicchiare il ricino e questo seccò. Dopo che il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un soffocante vento orientale e il sole picchiò sul capo di Giona così forte da farlo venir meno”. (4:7-8)
Quindi, prima Dio incaricò un pesce, poi una pianta, e ora un vento caldo. Dio farà tutto il necessario per svolgere un’opera di grazia nel cuore di coloro che ama. Era un vento di scirocco, un vento orientale caldo che scende dalle montagne di quello che oggi è l’Iraq. Nel sud della California, abbiamo dei venti caldi chiamati “Venti di Santa Ana.” Sono molto caldi e raggiungono alte velocità, un po’ come quello che colpì Giona. Era molto a disagio. Il sole batteva e una raffica calda soffiava su di lui. Ancora una volta, Giona avrebbe preferito morire: “Allora egli chiese di morire, dicendo: «È meglio per me morire che vivere»”.
Allora, Dio gli fece una seconda domanda nel versetto 9: “Dio disse a Giona: «Fai bene a irritarti cosi a causa del ricino?»” Questa volta, Giona risponde: “Si, faccio bene a irritarmi cosi, fino a desiderare la morte”. In altre parole, Giona dà la colpa a Dio. Giona ha trascinato Dio in tribunale e lo ha dichiarato colpevole.
Dio poi fa una domanda finale, utilizzando un metodo rabbinico classico di argomentazione, passando dall’argomento minore al maggiore. Questo metodo è talvolta chiamato, qal vahomer. Gesù l’ha usato nel sermone sul monte: “Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano!”
Dio usa lo stesso tipo di logica:
“Il Signoredisse: «Tu hai pietà del ricino per il quale non ti sei affaticato, che tu non hai fatto crescere, che è nato in una notte e in una notte è perito; e io non avrei pietà di Ninive, la gran città, nella quale si trovano più di centoventimila persone che non sanno distinguere la loro destra dalla loro sinistra, e tanta quantità di bestiame?»” (4:10-11)
Il libro si conclude con questa domanda finale. Dio ottiene sempre l’ultima parola. Qui, la sua ultima parola porta Giona a riflettere sulla compassione.
La Compassione di Dio
Giona aveva piantato il ricino? Aveva lavorato per coltivarlo? L’aveva guadagnato? Era un premio per tutta la sua fedeltà? La risposta, naturalmente, è sempre “no”. La pianta era un dono. Giona non l’aveva piantata, né nutrita, né fatta crescere. Non aveva meritato l’ombra. Era tutto per grazia. La pianta era apparsa durante la notte, tutto per un atto soprannaturale di Dio. Niente di tutto ciò era stato meritato o guadagnato. Era un atto di compassione.
Allo stesso modo, Dio fece un’opera soprannaturale nei cuori degli abitanti di Ninive. Ed era tutto per grazia. Era un atto di Dio molto più grande e molto più importante del suo atto di far crescere la pianta. Dio mette in luce la mancanza di compassione di Giona per i Niniviti. La pianta era solo una pianta. Ma Ninive era una città piena di persone fatte a immagine di Dio. Giona aveva a cuore la pianta, e Dio non doveva preoccuparsi della città di Ninive? E non dovrebbe anche Giona preoccuparsi di loro? Quanta più compassione avrebbe dovuto provare per loro che per la pianta!
Ninive era una città piena di persone che erano schiave del loro peccato, senza conoscere una via d’uscita. Non sapevano distinguere “la loro destra dalla loro sinistra”per così dire. (È un idioma ebraico che significa “distinguere tra certe cose.”) In altre parole, non erano assolutamente in grado di salvare se stessi. Non erano moralmente innocenti; nessun peccatore lo è. Ma, come tutti i peccatori, erano ridotti in tale schiavitù al peccato che, a meno che la grazia irresistibile ed efficace di Dio non li salvasse, sarebbero morti nel loro peccato.
Ma era esattamente ciò che voleva Giona. Voleva che morissero nel loro peccato. Era un uomo ipocrita che mancava di compassione e di misericordia verso gli altri. Si atteggiava da giudice. Sembrava che pensasse di aver compreso la giustizia di Dio meglio di Dio stesso. Aveva offuscato la distinzione tra Creatore e creatura. Avrebbe voluto determinare chi doveva vivere e chi doveva morire, chi doveva essere salvato e chi doveva perire.
Ma Dio aveva tutto il diritto di trattare Ninive a suo piacimento, così come aveva il diritto di trattare la pianta a suo piacimento. Niente cade al di fuori della sua giurisdizione. Come l'apostolo Paolo dice, “Che diremo dunque? Vi è forse ingiustizia in Dio? No di certo! Poiché egli dice a Mosè: «Io aurò misericordia di chi avrò misericordia e avrò compassione di chi avrò compassione»” (Romani 9:14-15).
E di chi Dio non ci chiama ad avere compassione? Nel suo Grande Mandato, il nostro Signore ci dice:
“Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunquee fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. (Matteo 28:18-20)
E noi? C’è un gruppo di persone che io o voi vogliamo vedere morte nel loro peccato? Ci sono delle persone nel mondo di cui diciamo nel cuore: “Se Dio vuole salvarli, sono fatti suoi, ma mi lasci fuori! Possono andare all’inferno, per quanto mi riguarda!” Se questo è il nostro atteggiamento, forse Dio manderà una tempesta sul nostro cammino, se è quello che ci vuole. Si è impegnato tanto per noi e per la nostra salvezza, che invierà una tempesta, se è quello che ci vuole per svolgere un’opera di grazia nel nostro cuore. Potrebbe anche inviare un pesce!
Mentre ho letto la storia di Giona, ho sentito il peso del mio peccato. Così come a Giona interessava di più la pianta che il benessere spirituale di Ninive, mi ritrovo a volte a prendermi più cura delle mie cose materiali che del benessere spirituale del mio prossimo. Mi ritrovo a condannarlo nel mio cuore. Mi manca la compassione per chi non trovo commovente.
È facile per noi avere pietà per persone che ci commuovono. Ma che dire di quelli che non lo fanno? È facile per noi essere a favore della vita del nascituro, che non ha ancora fatto nulla per deluderci. Ma che dire di coloro che sono già nati? Non dovremmo essere a favore anche della loro vita? Non dovremmo essere a favore della vita, per così dire, anche di coloro che ci hanno deluso e amareggiato? Non dovremmo avere compassione di loro?
Cristo è stato mosso a compassione, anche verso coloro che lo hanno rifiutato e deluso. Non li vide come li vediamo a volte noi. A volte, consideriamo quasi gli empi poco più di legname per accendere le fiamme dell’inferno. Cristo li vedeva come pecore senza pastore. Pianse per Gerusalemme mentre cavalcava in città per essere crocifisso per i peccati degli altri: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” (Matteo 23:37) Giona era addolorato che una città pentita fosse risparmiata. Gesù era addolorato che una città impenitente dovesse essere condannata.
Gesù andò a Gerusalemme per fare l’impensabile, per andare in croce per i suoi nemici. Ci ha amato anche quando noi non lo amavamo. Ha portato la nostra vergogna e il nostro senso di colpa. Invece del disagio di una pianta morta, il nostro Signore ha provato il disagio del legno morto della croce. Lo ha fatto per cancellare la nostra colpa. I nostri peccati gli sono stati addossati, in modo che Dio non li addossi a noi. E in cambio, ci ha dato la sua giustizia e ci promette la vita eterna.
Forse stiamo tentati a dire: “Beh, va bene per Gesù, ma non sono Gesù. Non vedo i malvagi in questo modo. Non ho un cuore compassionevole”. C’è una buona notizia per noi. Dio ha promesso di conformarci a immagine di suo Figlio. Si è tanto impegnato verso di te, e ti ama così tanto, che creerà in te un cuore compassionevole.
Vedete, è questo che rende la misericordia di Dio così profonda. La capacità di Dio di mostrare misericordia è superiore alla capacità dell’uomo di peccare. La sua capacità di perdonare e di ripristinare è più grande della mia capacità di fuggire e di ribellarmi. Quando comincio a comprenderlo, la mia vita si trasforma in modo che anch’io posso dimostrare misericordia e pietà anche a coloro a cui altrimenti non la dimostrerei.
Alla fine, Giona prese a cuore tutto ciò che Dio gli aveva detto? Il testo non lo dice. Termina bruscamente. Non c’è un lieto fine. Forse lo fece. Forse Giona stesso scrisse questo libro, tralasciando ogni dettaglio che possa essere considerato di auto-giustificazione. Ma il libro si conclude in questo modo deliberatamente. Si conclude in questo modo al fine di porre a noi queste domande. Avremo compassione verso gli altri, anche quelli che disprezziamo? Oppure continueremo a condannarli nel nostro cuore?
Quando Dio si impegna verso qualcuno, non lo molla. Non molla quelli che gli appartengono. Pensate a tutti coloro a cui è rimasto fedele nella storia della redenzione, anche quando lo hanno deluso: per esempio Giacobbe, Davide, Giona, e Pietro. Dio non ha mollato loro, e non mollerà te.
Nessuno può avere verso di voi una pazienza e tolleranza maggiore o più duratura di quella di Dio. Vostra moglie o vostro marito non sarà altrettanto paziente con voi, né lo saranno i vostri figli, i vostri amici, i vostri colleghi e il vostro pastore. Prima o poi vi deluderanno tutti.
Ma non Dio. Niente e nessuno sarà mai paziente e pronto a perdonare come Dio. Dio persegue i fuggiaschi. Ha tutte le ragioni per lasciar perdere dei ribelli come noi e lasciarseli alle spalle, ma non lo fa. La sua capacità di perdonare è superiore alla nostra capacità di peccare.
~ Re. Michael Brown